Cosa Si Rischia Se Non Si Paga L’INPS?

Affrontare il mancato pagamento dei contributi previdenziali all’INPS comporta una serie di conseguenze gravi e complesse che possono avere un impatto significativo sulla vita dei lavoratori autonomi e dipendenti in Italia. Le sanzioni amministrative, gli interessi di mora e le possibili azioni legali possono compromettere la stabilità economica e finanziaria del debitore, con ripercussioni che vanno ben oltre l’importo inizialmente dovuto. Secondo le normative italiane, il mancato pagamento dei contributi previdenziali è un’infrazione che non solo comporta pesanti sanzioni economiche, ma può anche portare a conseguenze penali.

Il Decreto Legislativo n. 471 del 1997 stabilisce che le sanzioni per il mancato pagamento dei contributi possono variare dal 30% al 50% dell’importo dovuto, con interessi legali attualmente fissati al 3% annuo. Questo significa che un debito iniziale può crescere rapidamente, diventando insostenibile per il debitore. Ad esempio, un debito di 10.000 euro può aumentare di 3.000-5.000 euro solo per le sanzioni, oltre agli interessi accumulati nel tempo. Questo aumento esponenziale rende cruciale affrontare tempestivamente qualsiasi irregolarità contributiva per evitare ulteriori complicazioni.

Il processo di recupero dei debiti da parte dell’INPS è rigorosamente disciplinato dalla legge. Il D.P.R. n. 602 del 1973 regola la riscossione delle imposte sul reddito e dei contributi previdenziali, prevedendo misure severe per il recupero dei crediti. Quando l’INPS rileva il mancato pagamento dei contributi, invia un avviso di addebito al contribuente. Questo avviso viene notificato tramite posta elettronica certificata (PEC) o, in mancanza di questa, tramite raccomandata con avviso di ricevimento, messi comunali o agenti della polizia municipale. Il contribuente ha generalmente 60 giorni di tempo per regolarizzare la propria posizione pagando l’importo dovuto, comprensivo di sanzioni e interessi.

Se il pagamento non viene effettuato entro i termini stabiliti, l’INPS può avviare procedure di recupero coattivo. L’articolo 72-bis del D.P.R. n. 602 del 1973 consente all’INPS di richiedere il pignoramento dei beni del debitore, inclusi i conti bancari, senza necessità di ottenere un preventivo titolo esecutivo. Questo significa che l’INPS può prelevare direttamente dal conto corrente del debitore l’importo dovuto. Inoltre, l’INPS può iscrivere ipoteche sugli immobili di proprietà del debitore, limitando la capacità di vendere o trasferire tali beni fino a quando il debito non viene estinto. Tali misure di recupero coattivo possono avere un impatto devastante sulle finanze personali e sulla stabilità economica del debitore.

Le conseguenze del mancato pagamento dei contributi non si limitano solo alle sanzioni economiche. Il Decreto Lavoro (D.L. n. 48/2023), recante “Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro”, ha introdotto modifiche significative al regime sanzionatorio in caso di omesso versamento delle ritenute previdenziali. L’articolo 23 del D.L. n. 48/2023 stabilisce che, per importi superiori a 10.000 euro annui, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali è punito con la reclusione fino a tre anni e una multa fino a 1.032 euro. Se l’importo omesso è inferiore a 10.000 euro annui, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria che varia da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso. Tuttavia, il datore di lavoro non è punibile se provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione. Queste disposizioni, entrate in vigore il 5 maggio 2023, riflettono l’intento del legislatore di inasprire le sanzioni per le infrazioni più gravi, pur offrendo una possibilità di regolarizzazione tempestiva.

Un altro aspetto cruciale da considerare è l’impatto del debito con l’INPS sulla pensione. Sebbene la pensione non possa essere negata se il contribuente soddisfa i requisiti di contribuzione, l’INPS può pignorare una parte della pensione per recuperare le somme dovute. La legge prevede che la pensione non possa essere pignorata per un importo superiore al quinto della parte eccedente il minimo vitale. Questo significa che, anche se il debitore riceve la pensione, una parte di essa può essere trattenuta dall’INPS fino a quando il debito non viene completamente estinto. Questa misura garantisce che il debitore possa comunque disporre di un minimo vitale per le proprie esigenze quotidiane.

Il Decreto Lavoro ha anche modificato i termini entro cui devono essere notificate al datore di lavoro le violazioni commesse. In deroga a quanto previsto dall’articolo 14 della Legge 24 novembre 1981, n. 689, per le violazioni riferite ai periodi di omissione dal 1° gennaio 2023, gli estremi della violazione devono essere notificati entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell’annualità oggetto di violazione. Questo significa che le violazioni commesse nel 2023 devono essere notificate entro il 31 dicembre 2025. Questa modifica è volta a garantire una maggiore tempestività nelle notifiche e a ridurre il rischio di accumulo di debiti non rilevati.

Per coloro che non riescono a pagare l’intero importo in un’unica soluzione, è possibile richiedere una rateizzazione del debito. L’articolo 2, comma 11, del D.L. n. 338 del 1989, convertito nella legge n. 389 del 1989, consente ai contribuenti in difficoltà di richiedere un piano di rateizzazione, che può estendersi fino a un massimo di 72 rate mensili. Durante il periodo di rateizzazione, è necessario continuare a versare i contributi correnti per evitare l’accumulo di ulteriori debiti.

Ma andiamo nei dettagli con domande e risposte.

Quali sono le conseguenze immediate del mancato pagamento dei contributi?

Il mancato pagamento dei contributi previdenziali all’INPS comporta una serie di conseguenze immediate. Innanzitutto, l’INPS applica sanzioni amministrative e interessi di mora. Secondo l’articolo 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997, le sanzioni possono variare dal 30% al 50% dell’importo dovuto. Inoltre, vengono applicati interessi legali sul debito, attualmente fissati al 3% annuo. Questo può far aumentare rapidamente l’ammontare del debito originario, rendendone ancora più difficile la gestione. Quando l’INPS rileva il mancato pagamento, invia un avviso di addebito al contribuente, che viene notificato tramite posta elettronica certificata (PEC) o raccomandata con avviso di ricevimento. Se il pagamento non viene effettuato entro 60 giorni dalla notifica, l’INPS può procedere con azioni di recupero coattivo, inclusi pignoramenti e ipoteche.

Posso contestare un avviso di addebito?

Sì, è possibile contestare un avviso di addebito inviato dall’INPS. Esistono diverse opzioni per farlo. Una delle prime azioni è presentare un’istanza di autotutela, una procedura amministrativa che consente di chiedere all’INPS la revisione dell’avviso in caso di errori materiali o di calcolo. Se l’istanza non viene accolta, è possibile presentare un ricorso al giudice del lavoro entro 40 giorni dalla ricezione dell’avviso. Durante la presentazione del ricorso, è anche possibile richiedere la sospensione dell’esecuzione dell’avviso di addebito. È consigliabile rivolgersi a un avvocato specializzato per garantire una gestione efficace del ricorso e aumentare le possibilità di successo.

Quali sono le nuove disposizioni del Decreto Lavoro (D.L. n. 48/2023)?

Il Decreto Lavoro, recante “Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro”, ha modificato il regime sanzionatorio per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali. Secondo l’articolo 23 del D.L. n. 48/2023, se l’importo omesso è superiore a 10.000 euro annui, il datore di lavoro può essere punito con la reclusione fino a tre anni e una multa fino a 1.032 euro. Se l’importo omesso non supera i 10.000 euro annui, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria che varia da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso. Inoltre, il datore di lavoro non è punibile se provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione. Queste modifiche sono entrate in vigore il 5 maggio 2023.

Cosa succede se non pago entro i termini stabiliti?

Se il contribuente non paga entro i termini stabiliti nell’avviso di addebito, l’INPS avvia procedure di recupero coattivo. Questo include il pignoramento dei beni mobili e immobili del debitore, il blocco dei conti correnti e l’iscrizione di ipoteche sugli immobili di proprietà del debitore. L’articolo 72-bis del D.P.R. n. 602 del 1973 consente all’INPS di richiedere il pignoramento presso terzi, inclusi i conti bancari, senza necessità di ottenere un preventivo titolo esecutivo. Queste misure possono avere un impatto devastante sulle finanze personali e sulla stabilità economica del debitore.

È possibile rateizzare il debito?

Sì, è possibile richiedere una rateizzazione del debito. L’INPS consente di suddividere l’importo dovuto in rate mensili, fino a un massimo di 72 rate. La richiesta di rateizzazione può essere presentata tramite il portale web dell’INPS, specificando il numero di rate desiderato e le motivazioni della difficoltà economica. Durante il periodo di rateizzazione, è necessario continuare a versare i contributi correnti per evitare l’accumulo di ulteriori debiti. È importante notare che il mancato pagamento di due rate consecutive comporta la decadenza dal beneficio della rateizzazione, rendendo l’intero debito residuo immediatamente esigibile.

Quali sono le implicazioni per la pensione?

Avere un debito con l’INPS può influenzare negativamente l’accesso alla pensione. Sebbene la pensione non possa essere negata se il contribuente soddisfa i requisiti di contribuzione, l’INPS può pignorare una parte della pensione per recuperare le somme dovute. La legge prevede che la pensione non possa essere pignorata per un importo superiore al quinto della parte eccedente il minimo vitale. Questo significa che, anche se il debitore riceve la pensione, una parte di essa può essere trattenuta dall’INPS fino a quando il debito non viene completamente estinto.

Cosa prevede la normativa sulla prescrizione del debito?

Il diritto dell’INPS di recuperare i contributi non versati si prescrive dopo cinque anni, a meno che non intervengano atti interruttivi della prescrizione come solleciti di pagamento o avvisi di intimazione. Se il debito è prescritto, l’INPS non può più esigere il pagamento delle somme dovute. È importante che i contribuenti mantengano una documentazione accurata e rispondano tempestivamente a qualsiasi comunicazione ricevuta dall’INPS per evitare che i debiti si prescrivano senza essere stati correttamente gestiti.

Conclusioni e Come Possiamo Aiutarti In Studio Monardo, Gli Avvocati Specializzati In Cancellazione Debiti INPS

Affrontare un debito con l’INPS è una questione che richiede particolare attenzione e competenza, poiché le conseguenze del mancato pagamento dei contributi previdenziali possono essere gravi e molteplici. La normativa italiana è molto chiara a riguardo e prevede sanzioni severe e interessi di mora per chi non adempie ai propri obblighi contributivi. Secondo l’articolo 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997, le sanzioni per il mancato pagamento dei contributi possono variare dal 30% al 50% dell’importo dovuto, con interessi legali attualmente fissati al 3% annuo. Queste sanzioni e interessi possono far lievitare rapidamente l’ammontare del debito originario, rendendone ancora più difficile la gestione.

Le conseguenze del mancato pagamento non si limitano alle sanzioni economiche. L’INPS può avviare procedure di recupero coattivo, come previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973. Queste procedure includono il pignoramento dei beni mobili e immobili, il blocco dei conti correnti e l’iscrizione di ipoteche sugli immobili di proprietà del debitore. L’articolo 72-bis del D.P.R. n. 602 del 1973 consente all’INPS di richiedere il pignoramento presso terzi, inclusi i conti bancari, senza necessità di ottenere un preventivo titolo esecutivo. Questo significa che l’INPS può prelevare direttamente dal conto corrente del debitore l’importo dovuto, fino a concorrenza del debito. Tali misure possono avere un impatto devastante sulle finanze personali e sulla stabilità economica del debitore.

Il Decreto Lavoro (D.L. n. 48/2023), recante “Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro”, convertito con modificazioni in Legge 3 luglio 2023, n. 85, ha introdotto importanti modifiche al regime sanzionatorio per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali. In particolare, l’articolo 23 del D.L. n. 48/2023 modifica la normativa previgente secondo cui l’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, per un importo superiore a 10.000 euro annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 1.032 euro. Se l’importo omesso non è superiore a 10.000 euro annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro. Inoltre, il datore di lavoro non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.

Per effetto delle nuove disposizioni entrate in vigore il 5 maggio 2023, la sanzione per omesso versamento di ritenute previdenziali operate dai datori di lavoro ovvero dai committenti nei confronti dei propri lavoratori dipendenti e collaboratori per un importo annuo non superiore a 10.000 euro è pari ad una somma che varia da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso. Resta, invece, applicabile nella medesima misura sopra prevista la pena (sino a tre anni di reclusione e multa fino a 1.032 euro) nei confronti dei datori di lavoro che non abbiano versato le ritenute effettuate per un importo superiore a 10.000 euro annui.

Queste modifiche legislative sono cruciali per comprendere l’importanza di mantenere una gestione accurata e tempestiva dei contributi previdenziali. La gestione proattiva delle questioni previdenziali può prevenire l’insorgere di nuovi debiti e ridurre il rischio di future controversie con l’INPS. Tuttavia, quando ci si trova di fronte a un debito con l’INPS, è fondamentale avere al proprio fianco un avvocato specializzato in cancellazione debiti INPS.

Un avvocato esperto in diritto previdenziale può fornire un supporto essenziale in tutte le fasi della gestione del debito. Questo include la verifica della correttezza delle richieste di pagamento, la presentazione di ricorsi amministrativi e giudiziari, la negoziazione di piani di rateizzazione e l’assistenza nella procedura di esdebitazione. L’esperienza di un avvocato può fare la differenza tra una risoluzione favorevole e una situazione che peggiora.

Ad esempio, se l’INPS invia un avviso di addebito, un avvocato può aiutare a presentare un’istanza di autotutela, che consente di correggere eventuali errori materiali o di calcolo contenuti nell’avviso. Se l’istanza di autotutela non viene accolta, l’avvocato può presentare un ricorso al giudice del lavoro entro 40 giorni dalla notifica dell’avviso di addebito. Durante la presentazione del ricorso, l’avvocato può anche richiedere la sospensione dell’esecuzione dell’avviso di addebito, evitando che il contribuente debba pagare somme non dovute o sproporzionate rispetto alla sua reale situazione contributiva.

Inoltre, un avvocato specializzato può assistere nella negoziazione di un piano di rateizzazione del debito. L’INPS consente di suddividere l’importo dovuto in rate mensili, fino a un massimo di 72 rate. Durante il periodo di rateizzazione, il contribuente deve continuare a versare i contributi correnti per evitare l’accumulo di ulteriori debiti. Il mancato pagamento di due rate consecutive comporta la decadenza dal beneficio della rateizzazione, rendendo l’intero debito residuo immediatamente esigibile.

Un altro aspetto cruciale in cui un avvocato può fare la differenza è l’accesso alle misure di esdebitazione previste dalla legge n. 3 del 2012, nota come “legge sul sovraindebitamento”. Questa normativa offre una soluzione ai piccoli imprenditori e lavoratori autonomi che si trovano in una situazione di grave difficoltà economica. Attraverso una procedura di composizione della crisi, il debitore può proporre un piano di ristrutturazione dei debiti che, se approvato dal tribunale, consente di ridurre l’ammontare complessivo del debito e ottenere una dilazione dei pagamenti.

Da questo punto di vista, l’avvocato Monardo, coordina avvocati e commercialisti esperti a livello nazionale nell’ambito del diritto bancario e tributario, è gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012), è iscritto presso gli elenchi del Ministero della Giustizia e figura tra i professionisti fiduciari di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi).

Ha conseguito poi l’abilitazione professionale di Esperto Negoziatore della Crisi di Impresa (D.L. 118/2021).

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Giuseppe Monardo

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