Pignoramento Stipendio Dipendente Pubblico

Il pignoramento dello stipendio rappresenta una misura esecutiva di rilevante impatto economico, particolarmente per i dipendenti pubblici, che possono vedersi trattenuta una parte della retribuzione in caso di debiti nei confronti del Fisco. In Italia, la normativa è disciplinata in modo rigoroso per garantire sia il diritto del creditore a riscuotere, sia quello del debitore a mantenere un reddito sufficiente.

In questo articolo di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in cancellazione debiti e pignoramenti dello stipendio, esamineremo in dettaglio la normativa attuale, le novità introdotte dalla Legge di Bilancio e le specifiche modalità con cui viene gestito il pignoramento dello stipendio per i dipendenti pubblici.

Cosa prevede la normativa attuale sulla trattenuta dello stipendio di un dipendente pubblico?

Attualmente, l’articolo 48-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 stabilisce che le pubbliche amministrazioni, prima di effettuare pagamenti superiori a 5.000 euro, debbano verificare se il beneficiario ha debiti con Agenzia Entrate Riscossione per un importo pari o superiore a questa cifra. Se si riscontra un debito del genere, l’amministrazione è obbligata a procedere al pignoramento presso terzi, trattenendo una quota dello stipendio del debitore. Agenzia Entrate Riscossione notifica quindi al datore di lavoro l’ordine di trattenere una quota della busta paga del dipendente per destinarla a ridurre il debito.

Come si calcola la quota pignorabile dello stipendio?

L’importo pignorabile è stabilito dall’articolo 72-ter del d.P.R. n. 602 del 1973. In generale:

  • Per i lavoratori con un reddito mensile netto superiore a 2.500 euro, è pignorabile 1/7 dello stipendio.
  • Per i dipendenti che superano la soglia di 2.500 euro con la tredicesima, la quota pignorabile scende a 1/10.

Queste soglie sono fissate per garantire che il debitore mantenga una parte sufficiente del reddito per far fronte alle spese essenziali di sussistenza.

Quali novità introduce la Legge di Bilancio?

La Legge di Bilancio introduce due novità fondamentali che impattano direttamente i dipendenti pubblici:

  1. Abbassamento della soglia per la verifica dei debiti: La soglia scenderà a 2.500 euro per gli stipendi. Ciò significa che il controllo dell’Agenzia Entrate Riscossione scatterà non solo per pagamenti oltre i 5.000 euro, ma anche per stipendi superiori a 2.500 euro.
  2. Soglia di debito minima per il pignoramento: Il pignoramento dello stipendio avverrà solo per debiti pari o superiori a 5.000 euro, derivanti da una o più cartelle di pagamento non saldate.

Queste novità mirano a facilitare la riscossione dei debiti fiscali, introducendo un meccanismo di verifica più frequente per gli stipendi elevati.

Quando entreranno in vigore le nuove disposizioni della Legge di Bilancio?

Le nuove disposizioni introdotte dalla Legge di Bilancio entreranno in vigore a partire dal 2026. Fino a tale data, le modalità di pignoramento resteranno quelle previste dalla normativa attuale.

Quali sono i limiti del pignoramento dello stipendio per i dipendenti pubblici?

La normativa italiana pone limiti ben definiti sulla percentuale pignorabile del reddito per garantire una tutela al debitore. Attualmente, per i dipendenti pubblici:

  • La percentuale massima pignorabile è del 20% dello stipendio mensile netto, garantendo che il dipendente mantenga almeno l’80% del proprio reddito.
  • In caso di redditi mensili superiori a 2.500 euro, la quota pignorabile è limitata a 1/7 dello stipendio, mentre per chi supera tale soglia solo con la tredicesima, il limite si abbassa a 1/10.

Come viene notificato il pignoramento dello stipendio di un dipendente pubblico?

La notifica del pignoramento dello stipendio di un dipendente pubblico è un processo regolato da precise disposizioni che coinvolgono l’Agenzia delle Entrate Riscossione e l’amministrazione pubblica datrice di lavoro. Quando l’Agenzia accerta che un dipendente pubblico ha un debito pari o superiore alla soglia di €5.000, può avviare la procedura di pignoramento attraverso un atto di pignoramento presso terzi. Questo atto viene notificato contemporaneamente al datore di lavoro, che ha il compito di trattenere la somma indicata nella busta paga del dipendente, e al debitore stesso, in modo che entrambe le parti siano informate della misura esecutiva. La procedura di notifica è vincolata da tempi e modalità specifici, affinché il debitore sia messo a conoscenza della situazione e possa eventualmente contestare l’atto se ritiene vi siano errori o abusi.

Una volta ricevuta la notifica, il datore di lavoro è legalmente obbligato a trattenere la quota specificata dalla normativa vigente. L’importo da trattenere è determinato dall’articolo 72-ter del d.P.R. n. 602 del 1973, che stabilisce le percentuali pignorabili del reddito. Per i redditi mensili netti superiori a €2.500, il datore deve trattenere una quota pari a 1/7 dello stipendio, mentre per chi supera tale soglia solo con la tredicesima, la percentuale trattenuta è limitata a 1/10. Tali quote sono state stabilite per garantire un equilibrio tra il diritto del creditore a soddisfare il proprio credito e il diritto del debitore a mantenere un livello minimo di reddito per le necessità quotidiane.

La notifica all’amministrazione pubblica ha un effetto immediato: a partire dalla mensilità successiva, il datore di lavoro deve iniziare a trattenere la somma specificata fino a quando il debito non sarà estinto. Questa trattenuta avviene direttamente sulla busta paga del dipendente, in modo che l’importo pignorato sia versato all’Agenzia delle Entrate Riscossione per ridurre il debito. La trattenuta mensile è obbligatoria e prosegue in modo automatico fino alla copertura del debito, a meno che non intervengano modifiche specifiche o contestazioni accettate da parte di un’autorità competente.

La notifica del pignoramento dello stipendio serve anche a garantire la trasparenza e la tracciabilità della procedura. Il debitore viene informato non solo dell’ammontare totale del debito, ma anche delle modalità di trattenuta e della durata stimata della procedura di pignoramento, in base all’importo mensile che verrà trattenuto. In molti casi, la notifica rappresenta anche un’occasione per il debitore di valutare eventuali soluzioni alternative al pignoramento, come la richiesta di rateizzazione del debito direttamente con l’Agenzia Entrate Riscossione. Questa possibilità, se accettata dall’Agenzia, consente al debitore di sospendere la trattenuta dallo stipendio in favore di un piano rateale, pur con l’obbligo di rispettare rigorosamente le scadenze.

Nel caso in cui il debitore ritenga che vi siano errori o irregolarità nella notifica del pignoramento, ha il diritto di contestare l’atto attraverso un ricorso, che deve essere presentato entro termini rigorosi. Un ricorso tempestivo e fondato potrebbe permettere di sospendere il pignoramento, ma solo se l’autorità giudiziaria riconosce la presenza di irregolarità o di vizi formali. Per preparare e presentare un ricorso adeguato, il supporto di un avvocato esperto in diritto tributario e in sovraindebitamento è consigliabile, poiché un errore procedurale o una documentazione insufficiente potrebbero compromettere la possibilità di ottenere una sospensione.

La procedura di notifica del pignoramento dello stipendio di un dipendente pubblico è quindi una misura esecutiva che viene gestita con rigore e precisione, finalizzata a tutelare i diritti del creditore ma senza compromettere il sostentamento minimo del debitore. A partire dal momento in cui la notifica è emessa, il datore di lavoro è obbligato a rispettare le disposizioni, e il debitore è informato di tutti i dettagli riguardanti il debito e le modalità di trattenuta.

Riassumendo in sintesi:

  • Notifica al datore di lavoro e al debitore: l’Agenzia Entrate Riscossione notifica al datore di lavoro e al debitore l’atto di pignoramento.
  • Quota di trattenuta: per redditi mensili superiori a €2.500, la quota pignorabile è 1/7; per chi supera la soglia solo con la tredicesima, la quota scende a 1/10.
  • Obbligo di trattenuta: il datore di lavoro è tenuto a trattenere la somma indicata a partire dalla mensilità successiva alla notifica.
  • Possibilità di rateizzazione: il debitore può richiedere la rateizzazione del debito per sospendere il pignoramento.
  • Ricorso: il debitore può contestare l’atto entro termini precisi in caso di errori o irregolarità nella procedura di notifica.

Cosa accade se il dipendente pubblico ha più debiti con il Fisco?

Quando un dipendente pubblico ha più debiti nei confronti del Fisco, l’Agenzia delle Entrate Riscossione può adottare una serie di misure esecutive per riscuotere il credito, tra cui l’emissione di atti di pignoramento successivi o cumulativi, sempre nel rispetto dei limiti previsti dalla normativa vigente. Sebbene la presenza di più debiti possa aumentare l’ammontare complessivo dovuto, la legge italiana stabilisce una serie di tutele per evitare che il pignoramento incida in maniera sproporzionata sul reddito del debitore, preservando così un minimo di sostentamento economico.

In generale, l’articolo 72-ter del d.P.R. n. 602 del 1973 limita la quota massima pignorabile dello stipendio a una percentuale fissa, a seconda del reddito del debitore. Ad esempio, per redditi mensili netti superiori a €2.500, la quota pignorabile è di 1/7 dello stipendio, mentre per i redditi che superano questa soglia solo grazie alla tredicesima, la quota scende a 1/10. Questa soglia resta invariata anche se il debitore ha più debiti da saldare. In altre parole, anche se il dipendente pubblico ha diversi debiti fiscali, l’importo totale che il datore di lavoro può trattenere mensilmente non può superare i limiti stabiliti, garantendo una protezione al reddito del debitore.

Quando l’Agenzia delle Entrate Riscossione rileva la presenza di più debiti, può decidere di emettere atti di pignoramento distinti per ciascun debito, o, in alternativa, un unico atto che li comprenda tutti. L’obiettivo è comunque quello di procedere con una riscossione cumulativa ma sempre entro i limiti di legge. In caso di pignoramento unico per più debiti, l’importo trattenuto dal datore di lavoro resta comunque entro la percentuale consentita, distribuendo le somme raccolte proporzionalmente sui vari debiti fino alla loro estinzione.

La presenza di più debiti può tuttavia prolungare il periodo di pignoramento. Poiché le trattenute mensili non possono superare la quota stabilita dalla legge, se l’ammontare complessivo dei debiti è elevato, la durata della trattenuta sullo stipendio potrebbe estendersi per diversi anni, fino a coprire il totale delle somme dovute. Questo aspetto può influire significativamente sulla capacità del debitore di pianificare il proprio futuro economico, poiché una trattenuta prolungata può ridurre la disponibilità finanziaria per un lungo periodo.

In questi casi, il debitore ha la possibilità di valutare alternative al pignoramento, come la richiesta di un piano di rateizzazione direttamente all’Agenzia delle Entrate Riscossione. La rateizzazione permette di dilazionare il pagamento del debito in una serie di rate sostenibili, sospendendo il pignoramento dallo stipendio a condizione che il debitore rispetti puntualmente le scadenze delle rate. Questa opzione può risultare vantaggiosa per chi si trova con un reddito limitato e più debiti pendenti, poiché permette di ridurre l’onere immediato senza compromettere l’intero reddito mensile.

Infine, in caso di errori o discrepanze nell’ammontare dei debiti, il dipendente pubblico può fare ricorso contro uno o più atti di pignoramento, contestando eventualmente la legittimità della misura esecutiva o l’importo notificato. È importante, però, che il ricorso venga presentato entro i termini stabiliti e con il supporto di un avvocato esperto, per evitare ulteriori complicazioni.

Riassumendo in sintesi:

  • Limiti di pignorabilità: anche con più debiti, la quota trattenuta dallo stipendio non può superare la percentuale stabilita dalla legge.
  • Durata del pignoramento: la presenza di più debiti può prolungare il periodo di trattenuta fino a coprire l’intero importo dovuto.
  • Pignoramento cumulativo: l’Agenzia delle Entrate può emettere un unico atto di pignoramento per più debiti, rispettando comunque i limiti di trattenuta.
  • Possibilità di rateizzazione: il debitore può richiedere una rateizzazione per sospendere il pignoramento e dilazionare il pagamento.
  • Ricorso: in caso di errori o discrepanze, è possibile contestare gli atti di pignoramento entro i termini previsti.

È possibile contestare il pignoramento dello stipendio di un dipendente pubblico?

È possibile contestare il pignoramento dello stipendio, e il dipendente pubblico ha il diritto di fare ricorso se ritiene che vi siano irregolarità o errori nella procedura esecutiva. Questo diritto di contestazione è essenziale per garantire al debitore una tutela giuridica, in particolare nei casi in cui emergano discrepanze nell’importo pignorato, errori nei calcoli, o se il pignoramento sia stato effettuato senza il rispetto delle disposizioni di legge. La procedura per contestare il pignoramento richiede una conoscenza approfondita delle normative e delle tempistiche previste, motivo per cui è consigliabile il supporto di un avvocato specializzato.

Una delle principali motivazioni per contestare un pignoramento riguarda gli errori di calcolo nell’importo trattenuto. La legge stabilisce precise percentuali massime di pignorabilità, in base al reddito del debitore: per i redditi superiori a €2.500 netti mensili, può essere trattenuto fino a 1/7 dello stipendio, mentre se tale soglia è superata solo con la tredicesima, la trattenuta è limitata a 1/10. Se il datore di lavoro o l’Agenzia delle Entrate Riscossione trattengono una somma superiore a questi limiti, il debitore può presentare un ricorso per ottenere una rettifica della trattenuta e il rimborso delle somme eccedenti.

Altre motivazioni possono riguardare vizi formali o mancanza di notifica corretta dell’atto di pignoramento. La legge prevede che il pignoramento sia notificato sia al datore di lavoro che al debitore, affinché entrambi siano a conoscenza delle modalità e degli importi da trattenere. Se questa notifica non avviene, o se avviene in modo incompleto, il pignoramento può risultare illegittimo. In tal caso, un ricorso tempestivo permette di richiedere la sospensione della trattenuta fino a quando la procedura non venga correttamente ripetuta.

Un’altra situazione in cui il pignoramento può essere contestato è quando il debitore dimostra che il pignoramento compromette il proprio diritto al sostentamento minimo. La legge stabilisce i limiti di pignorabilità proprio per proteggere il debitore da trattenute eccessive che potrebbero compromettere il suo tenore di vita. Se il pignoramento incide significativamente sul reddito disponibile e limita la possibilità del debitore di far fronte alle spese essenziali, è possibile fare ricorso per chiedere una riduzione dell’importo trattenuto.

Il ricorso deve essere presentato entro i termini stabiliti dalla legge e deve essere supportato da una documentazione adeguata che giustifichi la contestazione. È fondamentale che il debitore raccolga tutte le informazioni relative al proprio reddito, alle trattenute effettuate e agli importi richiesti, poiché la documentazione sarà essenziale per dimostrare l’eventuale irregolarità. Un avvocato esperto in diritto tributario e procedure di sovraindebitamento può fornire un’assistenza decisiva nella preparazione del ricorso, valutando la validità dell’atto e identificando eventuali errori procedurali che possano giustificare una revisione o una sospensione del pignoramento.

Il ricorso consente al debitore non solo di tutelare i propri diritti, ma anche di ottenere una maggiore chiarezza sulla propria situazione debitoria. In alcuni casi, la presentazione del ricorso può portare a una revisione complessiva del debito e, in caso di errore riconosciuto, all’eventuale rimborso delle somme trattenute in eccesso. La contestazione è, quindi, uno strumento di controllo e di verifica che permette di monitorare l’accuratezza della procedura esecutiva, prevenendo abusi o trattenute ingiustificate.

Riassumendo in sintesi:

  • Errori di calcolo: possibile contestare somme trattenute eccedenti i limiti di legge.
  • Vizi formali o notifica incompleta: il pignoramento è illegittimo senza notifica corretta.
  • Compromissione del sostentamento minimo: il pignoramento non deve privare il debitore delle risorse necessarie per le spese essenziali.
  • Documentazione e assistenza legale: fondamentale raccogliere prove e affidarsi a un avvocato esperto.
  • Esito del ricorso: può portare a una riduzione delle trattenute o al rimborso di importi ingiustamente trattenuti.

Esempi di pignoramento dello stipendio di un dipendente pubblico

Gli esempi di pignoramento dello stipendio di un dipendente pubblico illustrano come vengono applicati i limiti di trattenuta previsti dalla normativa e come queste trattenute incidono sul reddito mensile. Vediamo alcuni casi pratici per comprendere meglio l’impatto di queste disposizioni, basati sulle diverse soglie di reddito e debito.

Immaginiamo un dipendente pubblico con uno stipendio netto mensile di €3.000 e un debito fiscale di €6.000. In questo caso, la normativa stabilisce che, per redditi superiori a €2.500, può essere trattenuto fino a 1/7 dello stipendio. Quindi, la quota pignorabile sarà pari a circa €428 al mese (€3.000 / 7). Questo importo verrà trattenuto mensilmente dal datore di lavoro e versato all’Agenzia delle Entrate Riscossione fino al raggiungimento del totale del debito, quindi per un periodo di circa 14 mesi. Durante questo periodo, il dipendente percepirà uno stipendio netto di €2.572 al mese, risultante dalla sottrazione della quota trattenuta.

Consideriamo ora un secondo esempio, in cui il dipendente ha uno stipendio netto di €2.200, ma con la tredicesima raggiunge un totale di €2.800. Poiché lo stipendio supera i €2.500 solo con la tredicesima, la trattenuta applicata in quel mese sarà pari a 1/10 del totale, quindi circa €280 (€2.800 / 10). Questo significa che per la mensilità della tredicesima verrà trattenuto questo importo, lasciando al dipendente un netto di €2.520. Durante i restanti mesi, invece, il pignoramento non verrà applicato poiché lo stipendio mensile non supera la soglia ordinaria di €2.500.

Un altro esempio interessante riguarda un dipendente pubblico con un reddito mensile di €1.800 e un debito fiscale di €5.500. In questo caso, l’importo massimo pignorabile è fissato dalla legge al 20% del reddito, per cui il datore di lavoro potrà trattenere fino a €360 al mese (€1.800 x 20%). Questa trattenuta continuerà fino al saldo del debito, per un totale di circa 15 mesi. In ciascun mese, quindi, il dipendente riceverà €1.440, garantendo comunque un importo sufficiente per il proprio sostentamento, come stabilito dalla normativa per i redditi inferiori alla soglia di €2.500.

In un’ulteriore situazione, consideriamo un dipendente con uno stipendio netto di €3.500 e un debito particolarmente elevato di €50.000. Anche in questo caso, la quota trattenuta sarà di 1/7 dello stipendio, quindi circa €500 al mese. Tuttavia, data l’entità del debito, il periodo di pignoramento sarà molto lungo, estendendosi fino a circa 100 mesi (oltre 8 anni) per coprire l’intero debito. In una situazione simile, il debitore potrebbe valutare l’opzione di richiedere un piano di rateizzazione direttamente con l’Agenzia delle Entrate Riscossione, che potrebbe consentire una dilazione del pagamento a condizioni più sostenibili.

Infine, per un dipendente che ha più debiti con il Fisco, ad esempio uno di €7.000 e uno di €3.000, l’Agenzia delle Entrate può emettere un unico atto di pignoramento per entrambi, ma senza superare i limiti di trattenuta. Se il suo stipendio netto è di €2.600, sarà trattenuto 1/7, ovvero circa €371 al mese, che verrà distribuito per estinguere prima il debito maggiore e poi quello minore. Questo significa che, anche in presenza di più debiti, l’importo pignorato non supera mai la percentuale massima stabilita dalla legge.

Riassumendo in sintesi:

  • Debito di €6.000, stipendio di €3.000: trattenuta di €428 al mese (1/7), saldo del debito in circa 14 mesi.
  • Stipendio di €2.200, tredicesima di €2.800: trattenuta di €280 solo nel mese della tredicesima.
  • Debito di €5.500, stipendio di €1.800: trattenuta del 20% (€360 al mese), saldo in circa 15 mesi.
  • Debito di €50.000, stipendio di €3.500: trattenuta di €500 al mese, periodo di pignoramento di circa 100 mesi.
  • Più debiti, stipendio di €2.600: trattenuta di €371 al mese (1/7), distribuita sui diversi debiti fino all’estinzione completa.

Conclusioni e Come Possiamo Aiutarti In Studio Monardo, Gli Avvocati Specializzati In Cancellazione Debiti Di Dipendenti Pubblici

Affrontare un pignoramento dello stipendio per un dipendente pubblico è un’esperienza complessa e carica di implicazioni finanziarie, psicologiche e professionali. La procedura di pignoramento è regolata da una normativa precisa e vincolante, che tutela il diritto del creditore a riscuotere il proprio credito ma, allo stesso tempo, prevede alcuni limiti per garantire al debitore un minimo di sussistenza economica. Quando un dipendente pubblico si trova coinvolto in un pignoramento, soprattutto per debiti fiscali o amministrativi, la situazione può diventare particolarmente delicata. Le trattenute sullo stipendio possono incidere pesantemente sul reddito mensile, mettendo a rischio la stabilità finanziaria e la possibilità di far fronte alle spese quotidiane. In questi casi, l’assistenza di un avvocato esperto in cancellazione debiti e pignoramenti è fondamentale per affrontare il percorso in modo strategico, consapevole e strutturato.

La presenza di un professionista specializzato è un elemento cruciale per garantire al debitore una difesa efficace e una gestione adeguata della situazione. Un avvocato con esperienza nel settore del sovraindebitamento e delle procedure di pignoramento per i dipendenti pubblici è in grado di analizzare il caso specifico, valutare le possibilità di contestazione e identificare eventuali irregolarità che potrebbero rendere illegittimo l’atto di pignoramento. Questo aspetto è particolarmente importante poiché, in molti casi, le amministrazioni possono commettere errori nel calcolo delle trattenute o nelle notifiche, errori che possono essere contestati e, se riconosciuti, portare a una sospensione della trattenuta.

Un avvocato esperto conosce in dettaglio le normative che regolano il pignoramento dello stipendio, inclusi i limiti di pignorabilità previsti per i redditi di dipendenti pubblici. Questo significa che può verificare che le trattenute siano conformi ai parametri stabiliti dalla legge e intervenire se viene superata la quota massima consentita, come 1/7 dello stipendio per redditi superiori a €2.500. In molte situazioni, il ruolo dell’avvocato è quello di proteggere i diritti del debitore, garantendo che le trattenute siano giuste e proporzionate, evitando che il debitore si trovi con un reddito insufficiente a coprire le proprie esigenze basilari.

Oltre all’aspetto tecnico, l’avvocato svolge anche un ruolo di supporto e orientamento per il debitore, che spesso si trova disorientato di fronte alla complessità della procedura. La gestione di un pignoramento richiede non solo competenze legali, ma anche una capacità di mediazione con i creditori e di negoziazione per trovare soluzioni alternative. Ad esempio, in molti casi è possibile richiedere all’Agenzia delle Entrate Riscossione un piano di rateizzazione del debito, il quale, se approvato, può sospendere temporaneamente il pignoramento. Tuttavia, l’ottenimento di un piano rateale non è automatico: richiede una documentazione completa e una presentazione ben strutturata della situazione finanziaria del debitore. Un avvocato esperto sa come gestire questo processo, assicurando che ogni passaggio sia completato in modo corretto per aumentare le probabilità di successo.

Inoltre, un avvocato competente può assistere il debitore nella presentazione di un ricorso qualora vi siano motivazioni valide per contestare l’atto di pignoramento. Il ricorso è un’opzione importante per chi ritiene che la procedura sia stata viziata da errori, come la mancata notifica o il superamento della quota pignorabile. Presentare un ricorso richiede tempi precisi e una documentazione rigorosa che giustifichi la contestazione. Solo un professionista del settore è in grado di valutare appieno le possibilità di successo del ricorso e di fornire al cliente una consulenza accurata e mirata, aiutandolo a prendere decisioni informate e consapevoli. In molti casi, il ricorso può portare a una riduzione delle trattenute o addirittura al blocco temporaneo del pignoramento, offrendo al debitore un respiro economico e una maggiore serenità.

L’assistenza di un avvocato non è soltanto una scelta strategica, ma rappresenta una difesa concreta per chi si trova in difficoltà finanziarie. La procedura di pignoramento può durare anni, soprattutto se il debito è elevato, e il rischio di accumulare nuove difficoltà economiche è alto. L’avvocato aiuta il debitore a comprendere i propri diritti e a esplorare le possibili alternative per ridurre l’impatto del pignoramento sul lungo termine. Inoltre, la presenza di un legale esperto consente di evitare errori o azioni affrettate che potrebbero compromettere la possibilità di risolvere il debito in modo sostenibile.

Infine, un professionista specializzato in cancellazione debiti può anche fornire una consulenza globale, aiutando il debitore a pianificare una strategia di risanamento economico che vada oltre il singolo pignoramento. La gestione del sovraindebitamento richiede una visione d’insieme e una pianificazione accurata che solo un esperto può offrire, grazie alla conoscenza delle normative, dei diritti del debitore e delle modalità di esdebitazione. Un piano ben strutturato può evitare il ripetersi di situazioni di difficoltà finanziaria e consentire al debitore di ripartire con maggiore serenità e sicurezza economica.

In sintesi, la scelta di affidarsi a un avvocato esperto in pignoramenti e cancellazione debiti è fondamentale per proteggere il proprio reddito e preservare una stabilità economica minima. Attraverso un’assistenza continua, il debitore può affrontare la procedura di pignoramento con maggiore consapevolezza e sicurezza, minimizzando le conseguenze finanziarie e massimizzando le possibilità di ottenere una soluzione favorevole. La professionalità e l’esperienza di un avvocato rappresentano quindi un investimento essenziale per chi desidera non solo difendersi efficacemente, ma anche costruire una prospettiva economica solida e sostenibile per il futuro.

Da questo punto di vista, l’avvocato Monardo, coordina avvocati e commercialisti esperti a livello nazionale nell’ambito del diritto bancario e tributario, è gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012), è iscritto presso gli elenchi del Ministero della Giustizia e figura tra i professionisti fiduciari di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi).

Ha conseguito poi l’abilitazione professionale di Esperto Negoziatore della Crisi di Impresa (D.L. 118/2021).

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Giuseppe Monardo

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