Che cos’è un’istanza di fallimento?
Quando si chiede istanza di fallimento?
Cosa succede dopo la dichiarazione di fallimento?
E soprattutto come opporsi ad un’istanza di fallimento con l’aiuto di un avvocato specializzato in ricorsi?
Queste sono alcune delle domande tipiche che ci vengono rivolte dagli imprenditori che assistiamo in qualità di avvocati esperti in fallimenti, ora definiti liquidazioni giudiziali secondo l’ultimo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza.
Da questo punto di vista, un’istanza di fallimento non è altro che una domanda che i creditori, l’imprenditore o il PM possono fare con ricorso presso il tribunale al fine di aprire una specifica procedura fallimentare.
Si parla insomma di debiti, debiti aziendali con i creditori divenuti così pesanti da necessitare una liquidazione giudiziale dell’impresa.
Questo cosa comporta?
Due cose.
La prima che l’impresa esce dal mercato e la seconda, più importante a livello operativo, è che all’imprenditore viene tolto sia l’incarico di guidare l’azienda che la proprietà di tutti quei beni con cui ne porta avanti l’attività imprenditoriale.
E chi ne prende il posto?
Semplice: un curatore fallimentare il cui obiettivo sarà quello di trovare tutte le risorse utili al fine di chiudere i debiti con i singoli creditori.
Ma tutti possono chiedere fallimento?
No, solo i cosiddetti imprenditori commerciali, ovvero i soggetti che devono registrare la propria azienda presso la Camera di Commercio.
Non possono perciò farlo tutta una serie di categorie che comprendono gli enti pubblici, quelli no profit, gli artigiani, gli imprenditori agricoli, gli autonomi ed i cosiddetti piccoli imprenditori.
Ma chi sono i cosiddetti piccoli imprenditori?
Ecco chi sono:
Gli imprenditori che hanno un attivo patrimoniale annuo inferiore a 300 mila euro, nei 3 esercizi precedenti hanno ricavi lordi inferiori a 200 mila euro e nei 3 esercizi precedenti ed hanno fatto debiti complessivi, non ancora scaduti, non superiori ai 500 mila€.
In tal senso, se non non fai questa di queste categorie, quello che farai nel concreto sarà presentare un’istanza di fallimento da depositare presso la cancelleria del tribunale territorialmente competente ora liquidazione giudiziale, in cui dichiarerai lo stato d’insolvenza ovvero l’incapacità in qualità d’imprenditore di far fronte definitivamente agli attuali debiti sia con i ricavi che con il Capitale a disposizione.
Nello specifico, il Tribunale accoglie istanze di fallimento per debiti scaduti e non ancora saldati sopra a 30.000€.
Fatto questo, i giudici possono o emettere una sentenza di fallimento oppure rigettare l’istanza.
In linea teorica, il creditore potrebbe ritirare l’istanza prima della sentenza mediante una dichiarazione chiamata desistenza.
Detto questo, come è possibile opporsi ad un’istanza di fallimento tramite un avvocato esperto in crisi d’impresa come quelli in Studio Monardo?
Semplice, devi fare un’opposizione all’istanza di fallimento?
E lo possono fare sia l’imprenditore che i figli, i soci a responsabilità illimitata e il coniuge.
Entro quando?
Entro 30 giorni.
Una cosa importante: un’eventuale opposizione all’istanza di fallimento tramite il ricorso in appello, non sospende automaticamente quelli che sono gli effetti della sentenza, se non per motivi considerati come gravi.
E in tal senso, la Corte di Appello può confermare il fallimento oppure revocarlo tramite un decreto motivato di rigetto.
Ma andiamo sul concreto.
Ed ecco la domanda che ci può essere posta in qualità di avvocati esperti in opposizione a fallimenti: quale forma deve avere l’impugnazione di un’istanza di fallimento?
Da questo punto di vista non si cita mai la controparte ma si fa un reclamo, ovvero un ricorso al giudice in cui le parti dell’impugnazione sono di seguito colui che ricorre, chi ha richiesto la dichiarazione fallimento, ovvero i creditori, ed infine il curatore.
A livello giuridico avviene il cosiddetto litisconsorzio necessario ed una volta conclusa l’istruttoria, la Corte procederà con la sentenza.
E se perdi?
Puoi proporre un ulteriore ricorso alla Cassazione entro 30 giorni dalla notifica.
La Corte di Appello, inoltre, in linea teorica e su ricorso di chi appella, può decidere di sospendere la liquidazione dell’attivo, in tutto o solamente in parte, anche temporaneamente e solo nel caso in cui il tribunale decida per l’esercizio provvisorio dell’impresa oppure conceda l’azienda in affitto o in comodato.
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